Le lacrime di gioia e i sorrisi di dolore

[...] Io rido, rido per non far vedere che dentro piango e sto male, sorrido mi infilo una maschera e sorrido. Io piango, piango perché sono felice, tutte le mie emozioni escono racchiuse in quella gocciolina. Io vedo un sorriso che piange, un sorriso che ha smesso di essere un sorriso, un sorriso troppo nascosto per noi, troppo mascherato per poter illuminare noi stessi [...]


Liceo scientifico "Marconi"

La città che aveva smesso di ridere

Era un giovedì pomeriggio grigio e umido nei sobborghi di un'anonima città ma c'era un tocco di colore in tutto quel grigio soffocante... Un mendicante dai lunghi rasta canticchiava un motivo esotico... Una bimba gli si avvicinò.

"Era un giovedì pomeriggio grigio e umido, come tanti altri prima di quello, nei sobborghi di un'anonima città. Le persone camminavano a testa bassa, il volto tirato, fisso sulle scarpe lucide che si muovevano rapidamente, quasi a scatti. Camminavano per le strade sbiadite della città, avvolti nei loro impermeabili grigi, sembravano grigi e umidi anche loro: figure grigie e umide che camminavano per la città sbiadita, in un pomeriggio grigio e umido. Si respirava aria pesante e spenta, carica di monotonia. Ci si faceva trascinare malinconicamente dalla routine senza quasi alzare la testa, sembrava quasi non ci fosse tempo per fermarsi e vivere. Molte delle austere facciate dei palazzi erano per gran parte coperte da imponenti cartelli pubblicitari raffiguranti donne in tailleur grigio e uomini in giacca e cravatta seduti composti alla loro scrivania, con volti impassibili, sormontati da scritte nere a caratteri cubitali "Serenità è sinonimo di efficienza", "Tempo passato a ridere e divertirsi è tempo perso", "Non lasciatevi distrarre e andate dritti al vostro obiettivo", "Ogni forma di distrazione è un ostacolo alla carriera". E la gente pareva prenderle sul serio a giudicare dalle espressioni fredde, austere e determinate che si vedevano in giro, facce spente. Ma c'era un tocco di colore in tutto quel grigio soffocante, un fiore variopinto nel cemento, vicino all'entrata della metro: un mendicante dai lunghi rasta canticchiava un motivo esotico accompagnato dai bonghi. La sua camicia era un tripudio di colori, il suo sorriso sembrava capace di far tornare il sole anche in quella città buia. Ogni tanto interrompeva il suo canto e rideva tra se, gettando la testa all'indietro. La maggior parte della gente che passava, faccia a terra e impermeabile grigio, non si accorgeva nemmeno di lui, presa dalla fretta mattutina, non aveva il tempo di guardarsi intorno. I pochi che lo notavano gli lanciavano un'occhiata carica di disgusto e indignazione prima di affrettare il passo come volessero allontanarsi al più presto dal suono di quella risata. Lo stesso fece una donna bionda dal tailleur impeccabile e coda di cavallo che teneva per mano una bimba sui cinque anni. Quest'ultima non staccava gli occhi dal mendicante che le sorrideva canticchiando la sua strana canzone. Si fermò lasciando la mano della madre e continuando a fissare l'uomo incuriosita. Questo proruppe in una lunga risata rovesciando la testa. La bimba gli si avvicinò, i riccioli biondi scompigliati dal vento e accennando un timido sorriso gli chiese con voce squillante "Ma tu perché ridi?" "Perché rido?". Un'altra risata. "Rido perché mi va, perché mi piace ridere...". Accennò alla gente che passava "Sembra che qui vi siate dimenticati come si fa!". Sorrise. Anche la bambina sorrideva. La madre, che si era accorta di ciò che stava succedendo, tornò indietro e la strattonò via. Guardandola con cipiglio severo sbottò "Chi era? Che ti ha detto?" "È l'uomo che ride..." rispose lei con un sussurro "...che ride perché gli piace ridere". La donna sgranò gli occhi e si voltò allibita verso l'uomo che ancora rideva. Lo fulminò con lo sguardo e affrettò il passo. Ma per quanto si allontanasse il suono di quella risata continuava a risuonargli nelle orecchie."

- Liceo scientifico "Marconi" -

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