TRACCE DI LUCE IN UN CIELO DI ANONIME STELLE
IPERTESTO DI SCRITTURA CREATIVA
AUTORI VARI
Gocce di bit riaffiorano
Come spilli
IL
PAZZO BARDO ZEN
Mi sveglio ed è di giorno: sento cicale impazzite ronzare a centoventi
all'ora sulla tangenziale, accompagnate da borbotti di abitanti stanchi delle
loro stesse vite. Nella caliginosa aria mal condizionata, sudaticcio abbandono
il mio insicuro giaciglio color della paglia o delle macchie di varechina che
l'hanno raschiato nel tempo. Mi guardo attraverso le bolle dello specchio e mi
passo una mano d'acqua sul viso: sono vivo. Una vecchia stazione radio
infastidita si dimena tra le onde di questa città di cellulari viventi e mi
accompagna nel rito della vestizione, ma aperto
l'armadio non rimane molta scelta. È l'ora. Scendo le scale sotto lo sguardo
pettegolo della portinaia e quello sospettoso dei pusher nella strada. Non so o
non ricordo con precisione il luogo dell'appuntamento; comunque non mi lascerò
sfuggire l'occasione. Cammino. Svoltato il corner shop, "un
penny un acquisto", un
fottio di omini ben vestiti e famigliole turistiche mi ingloba in quel correre
senza senso e mi trascina sottoterra nella stazione della metro. Il convoglio
tarderà i soliti cinque minuti e tutto si placa in una fila disordinata e
anonima, scialba. Le porte si fermano davanti a me, si aprono e vengo travolto
di nuovo da queste marionette con le molle troppo cariche. Poi la calma
indifferente ritmata dal rumore dei finestrini aperti nel tunnel. Di colpo
decido di scendere. Sfuggo agli indemoniati che si agitano convulsamente anche
oltre le barriere metalliche: mi aspetta il verde rinfrescante delle merde dei
piccioni e dell'acqua stagnante di fontane spente. Dalla mia panchina vedo
passare gli anziani soli che cercano di sfuggire alla loro misera condizione di
morti deambulanti senza accorgersi che stanno
scappando dalla parte sbagliata, e bambini come stelle cadenti ad urlare alle
proprie sorde madri la loro voglia di sogni. Tutto è estremamente quotidiano. E
sorrisi di plastilina deformano i loro lineamenti preprogrammati. Respiro il
tempo che passa. Aspetto.
Passano le ore e tutto si svolge come
in uno preciso spettacolo, piuttosto pietoso per la verità. Non accade proprio
nulla. Nulla. Persino il mio cervello ha smesso di funzionare. Vuoto. Allora mi
alzo e rovisto tra le cartacce e le siringhe abbandonate per terra: nulla.
Guardo appena di fuori tra le auto veloci, tra i rossi dei semafori, ma ancora
niente. Respiro i loro gas e gli specchietti retrovisori mi sfiorano come
fulmini, ma non trovo ancora quello che sto cercando. Inizio a sentirmi
lievemente frustrato, ma non mi innervosisco affatto.
All'imbrunire le scene cambiano di
poco. Provo a girovagare tra i quartieri-stato di questa parte di città
abbandonata e fatiscente, tra le prostitute in gran posa e i loro agguerriti
manager: nulla. Me ne torno a casa sconsolato. Mi cucino un po' di schifo cinese
che non è molto diverso dallo schifo americano e cosi via. Il gas sibila
un'ultima volta e mi lascia con una pesante bombola inutile. Non rimane altro da
fare. Un altro fottuto giorno sta per finire giù nel cesso con l'ultima
pisciata prima di andare a dormire.
Dalla finestra aperta un odore noioso
attraversa l'aria e lentamente un mendicante vagabondo si apposta sul
marciapiede di fronte. Lo osservo per un paio di minuti nelle pieghe delle ombre
lasciate dai lampioni arancioni che tengono viva l'agonia di questa città. Esco
incuriosito da nonsocosa e cammino nella sua direzione. Recita un canto
monotono e arcaico, incomprensibile, a tratti melodico.
Probabilmente tra un istante sarò vicino a lui e subito dopo oltre di
lui indifferente. A pochi passi da quello sconosciuto l'odore diventa più forte
e acre, quasi ho dei conati, la testa mi gira e fatico a reggere il peso del mio
corpo; barcollo leggermente, e mi sorreggo divaricando di colpo le gambe. Il
canto diventa un ronzio, poi un fischio acuto. La vista si offusca leggermente.
Non riesco a pensare a nulla. La paura mi avvolge come un velo; è cosi che mi
sento: come dentro un sottile telo di plastica che si appiccica sempre di più
al mio corpo sudato, soffocandomi. Poco dopo una calma rasserenante e del tutto innaturale mi
pervade: se questa è la morte è quello che cercavo - penso. Però il fischio
ridiviene un canto ed i suoni si trasformano in parole. Il vecchio parla di Dio
e dice cose strane. Le sue sono parole d'amore. Ascolto per ore. Almeno credo. Le sue parole diventano sempre
più dolci, poi torna il canto, come una nenia e mi assopisco.
Mi sveglio ed è di giorno: accanto a
me sento il respiro di una donna. Non ricordo di essermi addormentato con lei
ieri sera. Non ricordo nulla di ieri. Ne dell'altro ieri ancora. Non so nemmeno
chi sia; ma è come se... la guardo per la prima volta ed è splendida... Giace
qui accanto a me… non sarò mai
più solo.
DAVIDE ZIVERI