marchio.gif (14235 byte)

TRACCE DI LUCE IN UN CIELO DI ANONIME STELLE

IPERTESTO DI SCRITTURA CREATIVA

AUTORI VARI 

Gocce di bit riaffiorano
Come spilli

 IL PAZZO BARDO ZEN 

Mi sveglio ed è di giorno: sento cicale impazzite ronzare a centoventi all'ora sulla tangenziale, accompagnate da borbotti di abitanti stanchi delle loro stesse vite. Nella caliginosa aria mal condizionata, sudaticcio abbandono il mio insicuro giaciglio color della paglia o delle macchie di varechina che l'hanno raschiato nel tempo. Mi guardo attraverso le bolle dello specchio e mi passo una mano d'acqua sul viso: sono vivo. Una vecchia stazione radio infastidita si dimena tra le onde di questa città di cellulari viventi e mi accompagna nel rito della vestizione, ma aperto l'armadio non rimane molta scelta. È l'ora. Scendo le scale sotto lo sguardo pettegolo della portinaia e quello sospettoso dei pusher nella strada. Non so o non ricordo con precisione il luogo dell'appuntamento; comunque non mi lascerò sfuggire l'occasione. Cammino. Svoltato il corner shop, "un  penny un acquisto",  un fottio di omini ben vestiti e famigliole turistiche mi ingloba in quel correre senza senso e mi trascina sottoterra nella stazione della metro. Il convoglio tarderà i soliti cinque minuti e tutto si placa in una fila disordinata e anonima, scialba. Le porte si fermano davanti a me, si aprono e vengo travolto di nuovo da queste marionette con le molle troppo cariche. Poi la calma indifferente ritmata dal rumore dei finestrini aperti nel tunnel. Di colpo decido di scendere. Sfuggo agli indemoniati che si agitano convulsamente anche oltre le barriere metalliche: mi aspetta il verde rinfrescante delle merde dei piccioni e dell'acqua stagnante di fontane spente. Dalla mia panchina vedo passare gli anziani soli che cercano di sfuggire alla loro misera condizione di morti deambulanti senza accorgersi che  stanno scappando dalla parte sbagliata, e bambini come stelle cadenti ad urlare alle proprie sorde madri la loro voglia di sogni. Tutto è estremamente quotidiano. E sorrisi di plastilina deformano i loro lineamenti preprogrammati. Respiro il tempo che passa. Aspetto.

Passano le ore e tutto si svolge come in uno preciso spettacolo, piuttosto pietoso per la verità. Non accade proprio nulla. Nulla. Persino il mio cervello ha smesso di funzionare. Vuoto. Allora mi alzo e rovisto tra le cartacce e le siringhe abbandonate per terra: nulla. Guardo appena di fuori tra le auto veloci, tra i rossi dei semafori, ma ancora niente. Respiro i loro gas e gli specchietti retrovisori mi sfiorano come fulmini, ma non trovo ancora quello che sto cercando. Inizio a sentirmi lievemente frustrato, ma non mi innervosisco affatto.

 All'imbrunire le scene cambiano di poco. Provo a girovagare tra i quartieri-stato di questa parte di città abbandonata e fatiscente, tra le prostitute in gran posa e i loro agguerriti manager: nulla. Me ne torno a casa sconsolato. Mi cucino un po' di schifo cinese che non è molto diverso dallo schifo americano e cosi via. Il gas sibila un'ultima volta e mi lascia con una pesante bombola inutile. Non rimane altro da fare. Un altro fottuto giorno sta per finire giù nel cesso con l'ultima pisciata prima di andare a dormire.

Dalla finestra aperta un odore noioso attraversa l'aria e lentamente un mendicante vagabondo si apposta sul marciapiede di fronte. Lo osservo per un paio di minuti nelle pieghe delle ombre lasciate dai lampioni arancioni che tengono viva l'agonia di questa città. Esco  incuriosito da nonsocosa e cammino nella sua direzione. Recita un canto monotono e arcaico, incomprensibile, a tratti melodico.  Probabilmente tra un istante sarò vicino a lui e subito dopo oltre di lui indifferente. A pochi passi da quello sconosciuto l'odore diventa più forte e acre, quasi ho dei conati, la testa mi gira e fatico a reggere il peso del mio corpo; barcollo leggermente, e mi sorreggo divaricando di colpo le gambe. Il canto diventa un ronzio, poi un fischio acuto. La vista si offusca leggermente. Non riesco a pensare a nulla. La paura mi avvolge come un velo; è cosi che mi sento: come dentro un sottile telo di plastica che si appiccica sempre di più al mio corpo sudato, soffocandomi.  Poco dopo una calma rasserenante e del tutto innaturale mi pervade: se questa è la morte è quello che cercavo - penso. Però il fischio ridiviene un canto ed i suoni si trasformano in parole. Il vecchio parla di Dio e dice cose strane. Le sue sono parole d'amore.  Ascolto per ore. Almeno credo. Le sue parole diventano sempre più dolci, poi torna il canto, come una nenia e mi assopisco.

Mi sveglio ed è di giorno: accanto a me sento il respiro di una donna. Non ricordo di essermi addormentato con lei ieri sera. Non ricordo nulla di ieri. Ne dell'altro ieri ancora. Non so nemmeno chi sia; ma è come se... la guardo per la prima volta ed è splendida... Giace qui accanto a  me… non sarò mai più solo.

DAVIDE ZIVERI

  

 tastohome5.jpg (1268 byte)