Le parole non dette e le parole non ascoltate

Le parole non dette sono quelle che ci teniamo dentro, quelle che per paura di dire 'la nostra' ci nascondiamo dentro di noi.
Non abbiate paura, dite la verità ogni tanto.
Dite ciò che pensate, prendete una posizione a costo di essere impopolari.
Correte il rischio di essere voi stessi, uscite da quel guscio di mediocrità da quattro soldi che vi protegge dai pregiudizi altrui.
Non è detto che dentro di noi non ci sia niente di bello o di intelligente da dire, una nostra parola, un nostro pensiero può cambiare la vita di una persona.

Rekia Manou
Istituto Giordani

Dar voce al silenzio


"Quel giorno a pranzo Lucia, dopo aver infierito col coltello sulla bistecca, riducendola in minutissimi pezzettini, sospirò: ""non ho più fame, Mamma"". Lucia aveva solo 12 anni, ma sapeva già essere convincente, quando voleva. La sua determinazione si era manifestata fin dalla fanciullezza: quando si incaponiva, nessuno riusciva a dissuaderla. Nonostante i divieti, si metteva alla prova personalmente, affrontando anche situazioni pericolose: non ascoltava i consigli degli adulti, che riteneva noiosi e inutili, ma voleva fare da solo le proprie esperienze, anche sbagliando. Il mondo dei grandi le appariva distante e forse la spaventava. I loro discorsi li ascoltava attenta, ma in disparte, avvolta dal suo silenzio, senza parteciparvi. Quando prendeva l'autobus per recarsi a scuola, osservava con interesse le persone, convinta che ognuna nascondesse storie interessanti, e si ritrovava spesso a scendere alla fermata sbagliata, perché si era persa in fantasticherie sui passeggeri, ignari di essere oggetto della sua immaginazione. Lucia era ritenuta una bambina matura, troppo matura e responsabile per la sua età. Si prendeva cura della sorellina più piccola, aiutava la mamma nelle faccende domestiche, andava a fare la spesa e cucinava. A cinque anni aveva già imparato a leggere, scrivere e fare i calcoli; la mamma ad una cert'ora del pomeriggio interrompeva i suoi giochi e la chiamava in casa, perché facesse esercizio. Lucia rincasava volentieri, andava a prendere il suo lucido abbecedario che profumava di carta e di inchiostro e cominciava a compitare. Nei pomeriggi bui e rigidi della stagione invernale, dopo aver fatto i compiti, si perdeva a colorare: aveva riempito un album voluminoso di acquerelli, disegni a pastello e a cera: era il suo tesoro. La mamma lo mostrava a tutti i parenti in visita, ma ella si scherniva: avrebbe preferito che rimanesse solo suo. La famiglia possedeva una copiosa biblioteca. Lucia spesso spariva dalla vista di mamma e papà e si nascondeva a sfogliare ed a divorare instancabilmente letture disparate. Quando la cercavano, ella era la, in qualche suo nascondiglio segreto, separata dal resto, dalla realtà, sorda ai richiami apprensivi dei genitori. Nessuno lo sapeva, nessuno poteva immaginarlo: Lucia nel suo animo nascondeva una profonda tristezza. Ella non riusciva a dare un nome a questa sottile malinconia, non era in grado di spiegarsi il senso di questa inquietudine. Solamente aveva questa impressione: di vivere in un mondo che non le apparteneva, di non essere fatta per vivere in quella realtà. Quel giorno dei suoi 12 anni in cui, per la prima volta, aveva rifiutato il cibo preparato dalla mamma, Lucia si era guardata allo specchio grande della camera dei genitori; vi si era osservata con occhi diversi o forse era stato quello specchio a restituirle un'immagine diversa dal solito. Il riflesso di lei le sembrava strano. La sua esile figura di bambina, gracile e minuta, non c'era più. I jeams, più attillati del solito, le segnavano i fianchi, che ora, arrotondati e femminili, non si potevano più nascondere nell'abbondanza degli abiti. Che cosa stava succedendo? Perché quelle rotondità sul busto? Che cosa stava diventando Lucia? La ragazza non parlava con nessuno delle sue inquietudini, si confidava soltanto col suo diario intimo. Il suo diario! Trascorreva ore a scrivere sulle pagine di quel quaderno viola; sapeva che di lui poteva fidarsi, che non avrebbe mai raccontato i suoi segreti. Quel colloquio silenzioso le alleviava il senso angoscioso di quell'estrema solitudine in cui si sentiva stringere. Con la mamma non si poteva parlare, non avrebbe compreso e sarebbe subito corsa a riferire tutto a papà. Con la sorella non c'era un rapporto di complicità e poi era troppo piccola per capire. E papà? Papà non c'era mai. Troppo assorbito dal lavoro, dalla carriera, dall'azienda..... Spesso all'estero per affari, quando era a casa era così stanco che si addormentava sulla poltrona leggendo il giornale. Lucia e la sorella, da piccole, gli si arrampicavano addosso, lo spettinavano, giocavano con i suoi occhiali: ""basta, lasciatelo riposare Ð le sgridava la mamma Ð il papà è stanco"". Lucia si sentiva sola. Si era sempre sentita sola, ma quel giorno in cui si era vista allo specchio così diversa dal solito, si era sentita ancora più sola. Perché anche la sua infanzia l'aveva abbandonata. Il suo stesso corpo l'aveva tradita. Doveva prendere una decisione, a questo punto. E sapeva dentro di se che sarebbe stata definitiva e irrisoluta. Entrare nel mondo dei grandi? Non lo voleva. Scelse di tornare indietro. Rinunciò al corpo. Rifiutò di nutrirlo. A quel corpo affidò il compito di comunicare tutto il disagio, il malessere, l'infelicità che portava nell'anima. A quel corpo affidò un messaggio: ""toglietemi dalla mia desolazione, fatemi sentire meno sola"". Quel corpo diventò sempre più sottile e diafano, sempre più scarno e consunto ed i genitori di Lucia cominciarono a preoccuparsi e presero a portarla da medici e specialisti, anzi che prestare attenzione al suo messaggio silenzioso. Lucia ora è ricoverata in una clinica. Probabilmente la salveranno. Ma riuscirà a guarire solo se troverà qualcuno disposto ad andarla a prendere laggiù, in quell'abisso in cui ora si trova. Qualcuno che, sensibile come lei, saprà ascoltare ed a cogliere i suoi pensieri, saprà dar voce al suo silenzio, saprà parlarle con tenerezza infinita. Saprà farle capire che tutti ci sentiamo soli, ma ci vuole il coraggio di uscire da noi stessi per chiedere aiuto: qualcuno potrebbe risponderci. "

Rekia Manou - Istituto Giordani

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